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lunedì 3 dicembre 2012

Terra, di David Brin

  • Titolo: Terra 
  • Autore: David Brin
  • Traduttore: Mauro Gaffo
  • Casa Editrice: Interno Giallo
  • Pagine: 636
  • Letto su: Kindle





Oggi vi parlo di un libro che purtroppo è fuori catalogo. Purtroppo perchè è un libro dannatamente bello, pubblicato in Italia a poca distanza dall'uscita dell'edizione in lingua originale (1991 contro 1990) ma mai più ristampato. Un libro che non avevo mai sentito prima dei consigli sempre preziosi di Davide Mana (ne aveva parlato sulla fanzine de Il futuro è tornato in occasione dell'uscita del nuovo libro di David Brin, Existence).

Copertina di Terra, di David Brin
La più pertinente copertina americana


Vi capita mai leggere o sentire qualcuno sostenere che dall'inizio degli anni '80 (più o meno dalla morte di Dick) la Fantascienza non riesca a produrre niente di nuovo? Bene, se conoscete persone che la pensano così andate a cercare sulle bancarelle questo libro e poi sbatteteglielo in faccia. (meglio se sono editori a livello nazionale)

Ma prima leggetelo.

Terra non è invecchiato di un giorno; e per un romanzo di fantascienza di tipo "speculativo" è un complimento non da poco. Il romanzo è ambientato a metà del 21° secolo: l'affresco globale che Brin traccia delle condizioni del nostro pianeta è spaventosamente verosimile (molte delle previsioni del romanzo si sono già tramutate in realtà), ma anche spaventoso e basta: l'umanità non se la passa molto bene tra innalzamento delle acque, perdita della biodiversità, instabilità politica e incremento demografico che rischia di oltrepassare il limite sostenibile dal pianeta. Brin capisce già nel 1990 che Internet è destinato a cambiare tutto, e infatti nel mondo delineato nel romanzo la Rete globale è importantissima e necessaria, ed è destinata a cambiare la natura stessa dell'uomo.

Il pianeta Terra è uno dei tanti protagonisti di un romanzo corale in cui all'inizio è un po' difficile trovare il bandolo della matassa: come spesso succede in questo tipo di romanzo, soprattutto se il ritmo di lettura non è troppo elevato, sembra di essere di fronte ad una raccolta di racconti ambientati nello stesso mondo. Per di più la fantascienza di Brin fa parte della cosiddetta "hard SF": fantascienza cioè in cui (quasi) tutti i fenomeni che avvengono hanno solide basi scientifiche. Per di più in un romanzo ambientato nel prossimo futuro, dove la cesura tecnologica con il mondo attuale non può essere presente più di tanto. Ma dando fiducia al romanzo le vicende dei vari personaggi, dapprima quasi personali, iniziano a convergere fino a coinvolgere l'intero pianeta.

Terra è un romanzo intriso di scienza: le descrizioni del pianeta, dei cambiamenti geografici, la teoria di Gaia diventata movimento religioso, tutto è spiegato in maniera solida e dettagliata. Molti dei personaggi sono scienziati e chi non lo è di professione fa largo uso della tecnologia. Ma qui non è come in molti romanzi in cui lo scienziato lavora in maniera misteriosa e "segreta" (e da questo punto di vista è indistinguibile da un mago): in Terra gli scienziati applicano il metodo scientifico, fanno errori, rivedono le proprie teorie per formularne di nuove.

Anche se in alcuni punti Terra rischia di diventare uno pseudo-saggio, in cui Brin si esercita a immaginare come sarà l'immediato futuro, la trama portante non è banale: non voglio anticipare nulla, ma il pianeta si ritrova a fronteggiare una minaccia potenzialmente mortale, passando per la geologia del pianeta, fisica avanzata, biologia, politica internazionale, cyberspazio fondali oceanici, dighe, caverne, riflessione sulla natura umana, viaggi spaziali e pure una minaccia aliena. Ma come succede sempre a una grande minaccia si accompagneranno anche grandi opportunità, grazie alla capacità di adattamento dell'uomo.

Il centro della Terra, David Brin
In Terra l'azione si svolge su tutti i livelli. Ma proprio tutti!


Uno dei grandi pregi di Brin, da bravo scienziato, è di sospendere ogni giudizio sui cambiamenti immaginati: perfino il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, non sono visti da Brin come qualcosa di intrinsecamente negativo: sono semplicemente cambiamenti, momenti passeggeri. E' facile vederla in questo modo adottando il punto di vista del pianeta, con le sue innumerevoli ere glaciali, disastri naturali e estinzioni di massa! Inoltre Brin abbandona qualsiasi principio antropico: l'uomo potrebbe estinguersi domani e la Terra andrebbe avanti comunque, la vita continuerebbe, solo in maniera diversa da come siamo abituati. Un atteggiamento del genere permette quindi di descrivere un mondo sull'orlo della catastrofe, un'umanità in procinto di cadere nell'oblio, ma nello stesso tempo di mostrare un'intrinseca fiducia nella capacità umana, la speranza che in un modo o nell'altro, non come individui, ma a livello di specie, riusciremo a sopravvivere.

Un ottimismo di fondo insomma che è l'opposto del pessimismo che avevo tracciato nella recensione di I Senza-Tempo a proposito degli autori di fantascienza italiana. E' questo che vorrei leggere nella nostra letteratura del fantastico! Non abbandonate la speranza!

Terra è un romanzo olistico e massimalista: un magnum opus che cerca di coprire più tematiche della fantascienza in un colpo solo (strizzando anche un po' l'occhio al cyberspazio, non dimentichiamoci che è stato pubblicato nel periodo d'oro del Cyberpunk), e ci riesce benissimo. Come nei migliori romanzi fantastici azione, speculazione sul futuro e riflessione sulla condizione umana si amalgamano in un'opera dove la somma delle parti è qualcosa di più delle stesse prese singolarmente.

Cinque stelle su cinque, fatevi un favore e cercatelo, sulle bancarelle, sulla Rete, e se siete un editore che per caso passate di qui prendete seriamente in considerazione l'idea di acquisire i diritti e ristamparlo!




martedì 27 novembre 2012

I senza-tempo

  • Titolo: I senza-tempo
  • Autore: Alessandro Forlani
  • Editore: Mondadori (Urania 1588)
  • Pagine: 216
  • Letto su: cartaceo 
  • Note: nel volume sono presenti anche due racconti, uno di Marco Migliori e l'altro di Dario Tonani









Il romanzo di Alessandro Forlani, uscito a Novembre 2012 nella collana Urania classica (per chi di voi fosse vissuto fino ad adesso su Marte, Urania è una collana mensile di fantascienza da edicola che esce, nel bene e nel male, ininterrottamente dal 1952) è riuscito nel non facile intento di far parlare di sè in lungo e in largo per la Blogosfera. Ne hanno parlato meglio di quanto potrò fare io Davide Mana su Strategie Evolutive e Argonauta Xeno sull'omonimo blog .

E' importante che il romanzo ottenga recensioni e discussione all'interno del fandom, perchè I senza-tempo è anche vincitore del Premio Urania, il più importante riconoscimento per la narrativa fantascientifica italiana, e del premio Kipple . Discutere di questo romanzo in un certo senso è quindi tastare il polso del livello della fantascienza in Italia.

Siamo di fronte a quello che gli inglesi chiamerebbero "novelette": il romanzo è infatti molto breve, 105 pagine. La brevità però non impedisce a Forlani di raccontare una trama compiuta, dove non manca una buona dose di azione e adrenalina e di tratteggiare in pochi ma efficaci passaggi il mondo in cui si svolge la vicenda. I senza-tempo si svolge in Italia (con buona pace di Fruttero & Lucentini, che sostenevano che non era possibile ambientare un romanzo di fantascienza nel Bel Paese), fotografata in tre scansioni temporali: nel 2012, 2024, 2036. Quello che salta subito all'occhio è che nell'Italia del 2024 e del 2036 quasi nulla è cambiato rispetto a 12 e 24 anni prima: niente mirabolanti innovazioni tecnologiche, niente cambiamenti sociali, l'Italia del futuro prossimo sembra calata in una bruma che mantiente tutto in stasi (il tema del tempo come avrete intuito è cardine dell'intera vicenda). Anzi, invece del progresso che di solito si associa al futuro, per Forlani ciò che attende l'Italia è un lungo e malinconico viale del tramonto: nessuna prospettiva per i giovani, malfunzionamento delle reti elettriche soprattutto in provincia e di Internet in tutto il paese, che diventa un medium in secondo piano rispetto all'onnipresente televisione.

L'Italia dei senza-tempo è un posto che prima di tutto ha perso la speranza, in cui intere generazioni si sono arrese (penso al personaggio di Stefano). E' un posto in cui i Senza-tempo, perversi negromanti che vivono in mezzo a noi, manovrano dietro le quinte e sono in grado più facilmente di altre epoche di mantenere lo status quo, di stringere le proprie grinfie sulla realtà. Ma il potere di stasi italiano è così forte che persino i Senza-tempo si sono arresi a vivacchiare in un'esistenza borghese, che viene minacciata dal risveglio di Monostatos, un Senza-tempo di altri tempi e altro linguaggio (per la precisione del Seicento), il cui unico scopo è l'assoggettamento di tutto sotto la propria volontà insaziabile.

Ad opporsi a lui tre giovani che già avevano incontrato Monostatos durante l'infanzia (una reminiscenza dell'It kinghiano) e una fotoreporter all'apice della sua carriera, per la quale deve ringraziare proprio il neo-risvegliato Senza Tempo.

La narrazione di Forlani è un po' schizofrenica: salta freneticamente nello spazio e nel tempo, anticipando o ritardando gli eventi. Nelle intenzioni dell'autore questo stile dovrebbe imitare il montaggio serrato che si ha nel cinema. Sicuramente il ritmo ne giova, ma ho trovato che il romanzo ne esca un po' sballato: la costruzione della tensione e della suspence è imperfetta, abbondano gli anti-climax. Forse è un effetto voluto ma potrebbe anche indicare qualche lacuna nel controllo della narrazione.

Forlani fa abbondante uso di immagini horror, quasi splatter: ma le descrizioni sono asciutte e soprattutto sono improvvise, nette, come la lama di un rasoio. Non indugia mai su qualche particolare sgradevole, non si abbandona mai all'autocompiacimento.

Forlani, come altri autori di fantascienza italiana, adotta un punto di vista essenzialmente pessimistico. Questo atteggiamento l'ho già riscontrato in Vittorio Catani e Vittorio Curtoni (qui la recensione di Dove stiamo volando), due pesi massimi della fantascienza italica e anche Valerio Evangelisti ci prospetta un futuro difficile: sembra che per la fantascienza nostrana la speranza in un futuro migliore sia praticamente nulla. E' probabile che, vista la situazione attuale, abbiano ragione loro, ma mi piacerebbe vedere nei nostri autori un atteggiamento più ottimista, più speranzoso. I momenti di crisi infatti spesso sono anche momenti di opportunità, ed è anche compito della narrativa dell'immaginario quale è la fantascienza tratteggiare futuri possibili dove non tutto va per il verso sbagliato.

Accompagnano il romanzo cinque racconti legati tra loro dalla presenza dei senza-tempo. Anche questi sono racconti cupi, in cui l'Italia è spacciata. Addirittura nell'ultimo racconto, All'inferno Savoia!, si evince come il destino dell'Italia fosse segnato fin dall' inizio.

Sarà l'influenza de "Il tempo è un bastardo" (uno dei migliori romanzi del 2012 sin qui), ma trovo che sarebbe molto interessante leggere una raccolta di racconti interconnessi tra di loro a tema Senza-Tempo. Trovo che il romanzo a mosaico sia un tipo di narrazione particolarmente adatto al tema del tempo.

Accompagnano il romanzo e i racconti di Forlani due ulteriori racconti, "Lo scambiatore" di Marco Migliori, vincitore del Premio Stella Doppia e "Suburbi@ Drive" di Dario Tonani. Il primo è un racconto di stampo classico con qualche influenza Dickiana, bello, il secondo ambientato sulla strada e dal retrogusto punkeggiante, che mi ha lasciato un po' freddino.

In conclusione, nel complesso dò al volume tre stelle su cinque, in attesa di leggere altro di Forlani.

martedì 20 novembre 2012

A call for help

Amici, quattro gatti che seguite questo blog. Qualcuno di voi sa dirmi come mai in praticamente tutti i post la formattazione dei paragrafi è sballata?

Non riesco a capire come mai (guardate ad esempio la recensione di Orange Road) l'interlinea cambia da un paragrafo all'altro. Suppongo sia un problema dell'editor di Blogger, che è lo strumento che uso per scrivere i post, anche se nella visualizzazione dell'editor questo problema non è presente. Devo rassegnarmi a spulciare il codice HTML? Consigli? Tool alternativi per scrivere il post? (non vale dire "passa a Wordpress" :) )

Qualcuno mi aiuti! :)

Edit: Dovrei aver risolto! La colpa è tutta di questa linea di codice qui <span style="font-size: small;"> che per motivi oscuri si intercala a palate nei paragrafi (probabilmente a causa del fatto che l'editor mal gestisce i cambi di dimensione dei font). Ringrazio @lavitabeffa per il link e per la pronta risposta su Twitter!

mercoledì 14 novembre 2012

Orange Road

  • Titolo: Orange Road
  • Autore: Matsumoto Izumi
  • Traduttore: Cristian Giorgi
  • Casa Editrice: J-Pop
  • Volume: 1 (di 10)
  • Stato: Concluso 








Premessa metodologica: con questo post inauguro le recensioni dei fumetti seriali. Per ogni serie nella recensione del primo numero farò una presentazione del fumetto, per poi seguire una struttura fissa che ripeterò nelle recensioni ai numeri successivi. Tutte le recensioni della stesse serie saranno collegate via tag.

Orange Road, eccheè? Una marca di aranciata? Se avete dai 20 ai 35 anni è molto probabile che abbiate visto, o almeno sentito parlare, del cartone animato di Orange Road, chiamato in un altro modo in Italia. Vi rinfresco la memoria con la sigla:

Ebbene sì, Orange Road è il titolo originale di "E' quasi magia Johnny", trasmesso con grande successo sulle reti Mediaset nei primi anni '90. Orange Road (il titolo completo sarebbe "Kimagure Orange Road",  dove kimagure significa "capriccioso/a") nasce come serie a fumetti, serializzata prima a capitoli settimanali sulla rivista Weekly Shonen Jump e poi raccolta in 18 volumi. In Giappone, infatti, la maggioranza dei manga viene prime serializzato periodicamente (di solito settimanale o mensile) su riviste-contenitore stampate su carta di bassa qualità che raccolgono numerose serie e poi raccolti successivamente in volumetti singoli come quelli a cui siamo abituati noi.

Il manga di Orange Road (che venne pubblicato in Giappone dal 1984 al 1987) era già stato portato in Italia da Star Comics, prima con un edizione di 25 volumi (contro i 18 dell'edizione originale Giapponese) con lettura ribaltata (in Giappone leggono da destra a sinistra). In seguito sempre la Star Comics diede alle stampe una seconda edizione, sempre con la lettura ribaltata ma rispettando il numero originale di volumi, e quindi la scansione dei capitoli numero per numero.

Quest'anno J-Pop ha optato per portare in Italia l'edizione deluxe del 1991 di Orange Road: 10 volumoni con sovraccoperta di circa 300 pagine.

Orange Road è un fumetto Shonen. Cosa vuol dire? In Giappone i fumetti vengono classificati in base al target di pubblico, e così le riviste che li contengono. Abbiamo gli Shonen, pensati per un pubblico in prevalenza maschile (shonen vuol dire nè più nè meno "ragazzo") che frequenta le medie/superiori, gli Shojo, stessa fascia d'età degli Shonen ma pensati per un pubblico femminile, i Seinen, pensati per un pubblico maschile adulto e gli Josei, la controparte Seinen al femminile. Ci sono altri generi ma per il momento possono bastare.

Orange Road è quindi pensato per un pubblico adolescente e a livello tematico è un Romance Manga: un manga in cui da padrone la fanno gli intrecci amorosi tra i personaggi. Questi tipi di manga sono spesso delle commedie ambientate soprattutto a scuola e nella loro declinazione Shonen vengono spesso raccontati dal punto di vista del protagonista maschile, nel nostro caso Kyosuke (Johnny nella versione italiana). Perno della storia è il triangolo amoroso che da subito si forma tra il nostro, Madoka (Sabrina nella versione italiana) e Hikaru (Tinetta).

Il twist di Orange Road rispetto ai clichè di genere è che Kyosuke e la sua famiglia (le due sorelle gemelle) hanno poteri paranormali: telecinesi, teletrasporto, lettura del pensiero, insomma un pacchetto completo.

A questo punto una piccola digressione. Come ho già spiegato, sia il manga che a maggior ragione il cartone animato, che è uscito nell'87 quando il fumetto si era già concluso, erano (e sono) rivolti ad un pubblico per lo più adolescente. In Italia invece i cartoni animati erano (e sono) concepiti come un prodotto esclusivamente per bambini (elementari e medie). Quindi l'adattamento italiano di Orange Road ha subito una serie di pesanti e grotteschi tagli (se volete approfondire c'è chi ha compilato un elenco di tutte le  censure) atti a rendere la fruizione dello stesso adatta ad un pubblico più giovane, con buona pace dell'integrità artistica. Orange Road non è il solo: quasi tutti i cartoni animati trasmessi dalle reti Mediaset negli anni '90 presentano tagli, omissioni, adattamenti farlocchi, cambi di nome all'occidentale. Non si salva quasi nessuno, perfino mostri sacri come Sailor Moon, dove addirittura nell'ultima serie furono eliminate tutte le inquadrature che mostrassero caratteri giapponesi! Nei primi anni 2000 si è iniziato un recupero "filologico" delle vecchie serie, che sono state ridoppiate in maniera più fedele, con i nomi originali giapponesi e con tutti gli episodi integri pubblicati in VHS o DVD, compreso Orange Road, edito da Yamato Video. Nell'edizioni italiane dei manga per fortuna non ci sono mai stati grossi scempi, a parte la lettura ribaltata per facilitare la lettura da un pubblico non educato a leggere al contrario e la divisione dei volumi originali in tanti volumi più piccoli (le cosiddette "sottilette"). Oggi i nuovi manga vengono stampati tutti nel senso di lettura originale (il pubblico si è abituato, e poi diciamocelo, non è così difficile), con la foliazione e le grafiche originali.

Fine della digressione, è il momento di parlare di questo numero 1

Copertina e stile grafico

Come potete vedere anche voi nell'immagine che apre il post, la copertina del primo numero presenta Madoka in una posizione tipica degli anni '80: a cavallo di una moto (le motociclette andavano un casino nel Giappone degli anni '80, non chiedetemi perchè) chioma fluente e vaporosa (fin troppo: le proporzioni con la grandezza della testa sono un po' farlocche), jeans a vita alta e giubbotto da motociclista dai colori forti. La costa del volume è fatta in modo che quando i 10 volumi saranno allineati sulla libreria formeranno la frase "Orange Road": un bel tocco di classe.
Molto spesso nei primi episodi di una serie il tratto è un po' incerto e subisce una evoluzione in corso d'opera per trovare un suo stile "canonico". Orange Road non fa eccezione: basta confrontare l'illustrazione di copertina (realizzata presumibilmente in tempi successivi all'uscita degli episodi su rivista) con lo stile dei primi capitoli: i personaggi non hanno ancora delle fisionomie ben definite (soprattutto una delle sorelle di Kyosuke, Manami)e le vignette sono piuttosto semplici, senza fronzoli. Ho notato in particolare che i retini (quegli effetti di ombreggiatura e decorazioni che vengono aggiunti alle vignette per ottenere particolari enfasi comiche o drammatiche) sono un po' usati ad minchiam. Lo stile del tratto ad un occhio abituato ai manga moderni risulterà inevitabilmente retrò: si parla d'altronde di un fumetto pubblicato quasi vent'anni fa. A me ha ricordato molto lo stile di Rumiko Takahashi, famosa in Italia per tre manga, da cui sono state tratte altrettante serie a cartoni animati: Lamù (Urusei Yatsura in originale), Ranma 1/2 e Inuyasha. J-pop ha optato per adattare le onomatopee in italiano, e i numerosi riferimenti culturali e pop dell'epoca (che rendono molte battute intraducibili) sono spiegati con una nota del traduttore a lato della vignetta.

Cosa succede in questo numero

Il manga si apre con l'incontro su una scalinata di un parco tra Kyosuke, che si è appena trasferito in città (scopriremo dopo che a causa dei poteri paranormali della famiglia, Kyosuke è stato costretto a trasferirsi più volte), incontra, complice un cappello di paglia, Madoka, una bella ragazza della stessa età. Il giorno successivo Kyosuke scopre di essere nella stessa classe di Madoka, che però si rivela essere una mezza delinquente che lo tratta freddamente. Parentesi, il concetto giapponese di delinquente è abbastanza diverso dal nostro: Madoka si qualifica come delinquente perchè salta spesso le lezioni, risponde male ai professori e fuma! Da noi sarebbe una normale ragazza delle medie.

Si accompagna a Madoka un'altra ragazza indisciplinata, Hikaru, più giovane di un anno. E' proprio lei che, vedendo per caso Kyosuke usare il proprio potere, se ne infatua perdutamente (da allora per lui sarà sempre il suo "tesoruccio"). Kyosuke invece non si dà per vinto con Madoka e riesce a conquistarsi la sua fiducia e amicizia (sperando naturalmente in qualcosa in più). Il comportamento di Madoka (freddezza iniziale seguita da affetto) è tipico di una serie di personaggi femminili che nei manga giapponesi sono conosciuti come tsundere . Col tempo è diventato un clichè (tanto che è stato coniato un termine apposito), ma nell'84 Madoka era una capostipite delle ragazze tsundere.

Il resto del numero è dedicato allo sviluppo del triangolo amoroso tra Madoka, Kyosuke e Hikaru: Hikaru è innamorata di Kyosuke che però ha occhi solo per Madoka, che si comporta in maniera ambigua, ma nel frattempo è lusingato dalle attenzioni di Hikaru e finisce per mantenere il piede in due staffe. E' curioso notare come col tempo cambiano i punti di vista: quando da ragazzino ho visto il cartone animato, l'immedesimazione con Kyosuke era più forte di ora e il suo comportamento di dare attenzione a Hikaru quanto basta per tenerla buona mentre sbava dietro Madoka mi sembrava normale: due belle ragazze che ti ronzano attorno sono meglio di una! Ora mi accorgo come Kyosuke si comporti da perfetto stronzo!

Chiude il volume una svolta nella trama: entra in scena un nuovo personaggio, Hino (Renato nell'adattamento italiano del cartone animato), amico di infanzia di Madoka e Hikaru e perdutamente innamorato fin da piccolo di quest'ultima (con grande sollievo di Kyosuke che pensava che andasse dietro Madoka, 'sto infame!) destinato al ruolo di rivale in amore di Kyosuke sul versante Hikaru.

Cosa mi aspetto nel numero successivo

Con un nuovo personaggio è normale che i prossimi capitoli saranno dedicato soprattutto a lui. Hino cercherà (invano) di convincere Hikaru a lasciar perdere Kyosuke, il quale, nonostante di Hikaru gliene freghi relativamente, per orgoglio personale cercherà di tenerla bella stretta. Mi aspetto inoltre che la componente paranormale, che in questo primo numero è rimasta abbastanza in ombra, usata solo per dare un tocco di colore alla vicenda, diventi più importante e venga usata come plot narrativo (se ci pensate le possibilità sono infinite). A livello grafico mi aspetto che lo stile diventi più maturo e più costante, anche se non penso che vedremo chissà quali mirabilie della tavola.

Consigli per gli acquisti

Perchè dovreste comprare la nuova edizione di Orange Road? Se siete appassionati del cartone animato e non avete mai letto un manga potreste iniziare da questo, in modo che i personaggi vi siano già familiari, anche se state pronti a fruire le vicende in maniera diversa, un po' perchè l'adattamento italiano lo ha reso a tutti gli effetti un'opera diversa, un po' perchè la percezione di qualcosa visto nell'infanzia è invariabilmente scolpito a pietra nella mente, e spesso è dura accettare differenze dalla versione dei nostri ricordi.

Per chi già legge manga potrebbe essere interessante, a livello filologico, leggere un classico delle commedie romantiche degli anni '80 e confrontarlo con le opere odierne per vedere come si è evoluto il genere e quali sono invece i punti fermi.
Al prossimo numero!

giovedì 8 novembre 2012

Stanley Kubrick

  • Titolo: Stanley Kubrick
  • Autore: H.P. Reichmann (curatore)
  • Traduttore: NTL Traduzioni, Firenze
  • Casa Editrice: Giunti GAMM
  • Pagine 384
  • Letto su: Cartaceo



E' grazie a Stanley Kubrick (e indirettamente a mio padre), se quando vado al cinema al 95% so chi ha diretto il film che mi appresto a vedere e quali sono stati i suoi altri lavori. E' grazie a lui se vado a vedere un film a scatola chiusa perchè è di uno dei miei registi preferiti.

Prima di Kubrick, vedevo i film come qualcosa di calato dall'alto, non sapevo ci fosse dietro il lungo lavoro di un gruppo (numeroso) di persone.

Solo dopo aver visto un film di Kubrick mi è venuta voglia di sapere quali ruoli e mestieri ci fossero dietro la realizzazione di un film. E Stanley Kubrick sapeva fare molti mestieri: regista, montatore, fotografo, sceneggiatore, curava ogni aspetto della lavorazione dei suoi film, in maniera quasi maniacale, spesso portando innovazioni a livello tecnico: gli effetti speciali di 2001 (per la quale Kubrick ha vinto il suo unico Oscar), gli obiettivi Zeiss usati dalla NASA per filmare le scene di Barry Lyndon con luce proveniente unicamente dalle candele, la Steadycam di Shining. Sono famosi gli aneddoti sull'ossessione ai dettagli di Kubrick, che portava tutti al limite estremo, soprattutto gli attori, dato che ripeteva le scene una moltitudine di volte.

Nella sua quasi cinquantenniale carriera Kubrick ha girato relativamente pochi film (13), ma una cosa che mi è sempre piaciuta di lui è che ha spaziato in quasi tutti i generi cinematografici: storico (Spartacus e Barry Lyndon) fantascienza (2001: odissea nello spazio e per certi versi Arancia Meccanica) satira (Dr. Stranamore) horror (Shining) dramma psicologico (Eyes Wide Shut) e una certa predilezione per i film di guerra (Paura e desiderio, Orizzonti di gloria, Full Metal Jacket).

Questo volumone della Giunti (il formato è più grande del solito, una specie di quadratone, stampato su carta patinata pesantissima) è il catalogo di una Mostra su Kubrick ospitata a Roma, nel Palazzo delle Esposizioni dal 6 ottobre 2007 al 6 gennaio 2008 organizzata in origine dal Deutsche Filmmuseum. La mostra conteneva una selezione del vasto archivio di materiale che Kubrick ha lasciato dopo la sua morte, avvenuta per attacco cardiaco nel 1999 (ricordo ancora quando l'ho saputo: stavo tornando con i miei genitori in macchina da Brescia dove eravamo andati a trovare dei parenti, quando lo hanno annunciato alla radio).

Purtroppo non ho mai visto questa mostra, il volume l'ho acquistato in occasione di un'altra mostra, questa volta a Milano, dal 16 aprile al 4 luglio 2010, dedicata all'opera fotografica di Kubrick. Negli anni '40 infatti, un giovanissimo Stanley Kubrick iniziò la propria carriera come fotografo professionista per la rivista "Look".

Il catalogo è in realtà una raccolta di 24 saggi ad opera di studiosi tedeschi, dedicati all'analisi dell'opera di Kubrick. Corredano i saggi un ricco impianto iconografico e appendici dedicate alla sua biografia, filmografia completa e discografia delle colonne sonore dei suoi film. Una cosa positiva è che gli autori dei vari saggi appartengono ad aree di studio molto diverse (si va dai critici cinematografici ad esperti di storia dell'arte, musica, costumi, architettura): l'approccio multi-disciplinare dei saggi fa emergere Stanley Kubrick come artista a tutto tondo, nei cui film nulla era lasciato al caso. Nella maggior parte dei saggi ho anche apprezzato che si focalizzassero su pochi film invece di analizzare velocemente tutta la filmografia del regista americano alla ricerca di connessioni stiracchiate; spesso Kubrick amava cambiare completamente il suo stile, creare qualcosa di completamente diverso, tant'è che molti suoi film furono accompagnati da polemiche alla loro uscita, fino a veri e propri casi di censura (Orizzonti di gloria, Arancia Meccanica).

Il lato negativo di saggi così diversi tra loro è che per forza di cose, per affinità personale ai temi trattati, alcuni li ho trovati molto interessanti, come quello sull'interesse di Kubrick per la fantascienza e la volontà di creare 2001: odissea nello spazio per dimostrare che i film di fantascienza potessero essere presi sul serio, altri (soprattutto quelli sull'aspetto architettonico dei film di Kubrick) li ho trovati un po' noiosi (sempre per i miei gusti). Ho anche apprezzato che, contrariamente a quello che avviene di solito, più di un saggio non ha il solito tono incensante nei confronti del grande regista da poco scomparso (la mostra originale tedesca risale al 2002), ma anzi si evidenziano alcuni difetti e punti deboli dell'opera di Kubrick, come la scelta di musiche tipiche dell'Ottocento usate in Barry Lyndon (che è ambientato nel Settecento), o il ritardo dell'uscita di Full Metal Jacket, uscito nell'89 dopo una lunga lavorazione e preceduto da un'onda di film riusciti dedicati al Vietnam (Il Cacciatore, Platoon).

La più grossa critica che mi sento di fare al volume è che alcuni autori, soprattutto gli accademici, indulgono spesso e volentieri nell'uso di un linguaggio ampolloso e volutamente ermetico (non a caso è stato coniato un termine apposito, l'"accademichese"). Un esempio da manuale è il saggio "Il visionario dell'evoluzione" di Thomas Elsaesser, che inizia meravigliosamente analizzando la carriera di Kubrick dal punto di vista della storia dell'industria cinematografica di Hollywood, mostrando come l'invidiabile contratto di Kubrick con la Warner Bros. (totale autonomia artistica) fosse in realtà figlio della crisi degli Studios negli anni '60 e poi si spegne in una serie di citazioni accademiche e ragionamenti volutamente oscuri.

Forse il limite principale di questo libro è che è a meta strada tra un'introduzione alla vita e alle opere di Kubrick e un approfondimento dei temi della sua cinematografia. Se volete sapere qualcosa di più su Kubrick io consiglio il documentario del 2001 "A life in pictures" (che ho scoperto in questo libro essere del cognato di Kubrick, Jan Harlan), mentre se comprate questo volume per approfondire forse vi ritrovereste un po' delusi.

Il mio (sindacabilissimo) giudizio è due stelle su cinque.   

sabato 3 novembre 2012

Cosa mi aspetto dal domani

E cosa potete aspettarvi voi da questo blog nei prossimi tempi. Oggi questo blog compie un mese: in questo mese ho scritto 13 post (uno ogni 2/3 giorni), di cui sono abbastanza soddisfatto per il contenuto, un po' meno per l'estetica (devo prendere la mano con l'editor di Blogger, che però mi sembra lacunoso).

Voi lettori non siete in molti (poco più di un centinaio, di cui ignoro gli assidui), ma non mi aspettavo certo cifre da capogiro: mi sto concentrando soprattutto sullo scrivere le recensioni, in modo da raggiungere "una massa critica" di contenuti.

Per far conoscere il blog mi sono iscritto a qualche aggregatore (Paperblog, Liquida, Blogitalia) e ogni mio post viene linkato su Facebook (e la probabilità che voi siate finiti qua cliccando da Facebook è alta) e Twitter. Con discrezione, quando scrivo una recensione di un libro di case editrici attive su twitter cerco di segnalarlo.

Il post che ha avuto più successo è sicuramente l'appello a citare i traduttori, ed è anche l'unico che ha avuto commenti. Spero che nei prossimi tempi possa arrivare anche qualche feedback sulle recensioni.

Questo blog vive dei libri, fumetti, serie tv e (prima o poi) film che leggo/seguo/vedo. Non ho accumulato recensioni ma scrivo di volta in volta le impressioni a caldo di quello che ho letto (per ora). Quindi la frequenza dei post dipende soprattutto a ciò che riesco a leggere/vedere/seguire.

In questo momento sto leggendo un saggio su Kubrick, per riprendermi dall'immersione in Murakami, a cui seguirà sicuramente altra narrativa (fantascienza, molto probabilmente).

Devo anche in qualche modo recuperare molti fumetti in arretrato: per loro, e per le serie tv, ho in mente di fare dei post brevi per ogni singolo numero/episodio in cui dico sinteticamente che cosa succede e le mie impressioni sul volume/episodio in sè e su come sta andando la serie.

Grazie per essere capitati sul mio blog, che voi siate lettori di ritorno o persone capitate per caso cercando le gif di Schmidt che fa parkour.

venerdì 2 novembre 2012

1Q84

Murakami Haruki, Libro 1 e 2, 1Q84, Einaudi












 







 
  • Titolo: 1Q84
  • Autore: Murakami Haruki
  • Traduttore: G. Amitrano
  • Editore: Einaudi
  • Pagine: 718 (libro 1 e 2) 395 (libro 3)
  • Letto su: Cartaceo





Murakami Haruki (Murakami è il cognome, in Giappone al contrario che da noi lo si mette sempre per primo) è attualmente lo scrittore giapponese contemporaneo più conosciuto a apprezzato, anche e soprattutto in occidente, Stati Uniti compresi. Da qualche anno è sempre al primo posto tra i papabili per il Nobel per la Letteratura, e come ogni anno non lo vince. Ho l'impressione che dopo il vincitore di quest'anno (il cinese Mo Yan) le possibilità per Murakami si siano assottigliate ancora di più.

1Q84 è l'ultima fatica dello scrittore nato a Kyoto nel 1949: il titolo è un gioco di parole. In giapponese il suono occidentale Q (soprattutto nella sua pronuncia inglese, una specie di "chiu") è lo stesso del numero nove (kyu). Quindi il titolo del romanzo in giapponese (ichi-kyu-hachi-yon), che sia scritto con la Q o con il numero 9 suona allo stesso modo.

Murakami Haruki, 1Q84
Anche io sarei così contento se vivessi alle Hawaii solo della mia scrittura


Il nuovo romanzo di Murakami ha avuto una storia editoriale piuttosto variegata, siete pronti? In Giappone è uscito in tre volumi separati, MA i primi due volmi sono usciti insieme, mentre il terzo è uscito circa un anno dopo. Le edizioni estere si sono diversificate: negli Stati Uniti il libro è uscito in un unico volumone (con una copertina bellissima), in Francia è uscito in due volumi, uno contenente il libro 1 e 2 e il terzo libro da solo, ma in entrambi i paesi i tomi sono stati tradotti da due persone in modo da farli uscire quasi in contemporanea. In Italia, Einaudi ha deciso per una via intermedia: due volumi (1 e 2 insieme e 3 da solo), ma tradotti dalla stessa persona, Giorgio Amitrano, e pubblicati a distanza di un anno, in modo da dare tempo al traduttore di finire il volume 3 e in modo da simulare l'edizione giapponese mettendo un anno tra i primi due volumi e il terzo.

Il modo migliore per descrivere Murakami mi è venuto qualche tempo fa su twitter.


Più ci penso e più mi sembra una definizione calzante: pur lavorando su medium diversi, i due autori si assomigliano molto per stile. In entrambi l'azione è estremamente lenta, quasi sonnecchiosa, per poi avere delle improvvise accelerazioni. Questo ritmo sincopato è funzionale alla costruzione di uno stato di ansia che piano piano pervade il lettore/spettatore: sia Lynch che Murakami sono bravissimi a costruire uno stato di angoscia senza mostrare (quasi) nulla. In entrambi abbiamo situazioni apparentemente realistiche dove però si capisce subito che c'è qualcosa che non quadra e questa sgradevole sensazione viene gradualmente confermata fino a sfociare esplicitamente nell'onirico (unica eccezione per Murakami è il romanzo Norwegian Wood, scritto volutamente in maniera strettamente realistica). Entrambi gli autori spesso indugiano nella riflessione meta-narrativa: si veda come esempio la serie TV di Mulholland Drive o il film di Inland Empire per Lynch, per Murakami proprio 1Q84, in cui abbiamo un romanzo in grado di cambiare (letteralmente e metaforicamente) il mondo.

In questo libro Murakami non abbandona il proprio stile, ma dilata le parti apparentemente tranquille: forse proprio per questo quando arriva il soprannaturale (in questo caso i Little People) l'angoscia e la tensione è alle stelle. Il romanzo è narrato da due punti di vista diversi, Tengo, il protagonista maschile e Aomame, il protagonista femmminile (con il terzo volume si aggiungerà un terzo punto di vista). All'inizio apparentemente i due personaggi conducono due vite diametralmente opposte e parallele, che si intrecceranno lungo le molte (forse troppe) pagine del romanzo. I capitoli dedicati ai due protagonisti si alternano, e questo dà la possibilità a Murakami di costruire ulteriormente la tensione troncando la narrazione proprio sul più bello e passando all'altro personaggio, di solito in una situazione tranquilla.

A circa tre quarti del primo volume (che include i libri 1 e 2 dell'edizione giapponese) si raggiunge il climax della vicenda e si arriva ad una conclusione che per gli standard di Murakami e se non sapessimo dell'esistenza di un ulteriore volume sarebbe anche soddisfacente.

Poi abbiamo il terzo volume... il più grande anti-climax che io abbia mai letto nella mia (giovane ma intensa) carriera di lettore. Intendiamoci, c'è un motivo a livello di trama per cui nelle prime 350 pagine del terzo libro non succede NULLA, ma ciononostante è veramente difficile immaginare perchè Murakami abbia voluto tediarci così tanto. Io poi ho aspettato che uscisse il terzo volume per leggere il romanzo tutto d'un fiato, ma voi immaginate chi ha aspettato per un anno! La sensazione è che questa dilatazione della narrazione, la rarefazione degli eventi sia voluta dall'autore. Lo stacco con i primi due volumi è molto netto: mentre nei primi due Murakami usa i dettagli e la ridondanza degli stessi per costruire tensione, nel terzo fa di tutto per distruggere la tensione narrativa, spiegandoci tutto quello che succede, da tre punti di vista per giunta!

La narrazione in 1Q84 mi ha ricordato un puzzle 3d, di quelli in cui si impilano dei fogli di cartone sagomati. Strato dopo strato, apparentemente in maniera caotica, Murakami costruisce una visione d'insieme di una certa potenza.

Jar Jar Binks, 3d sculpture
La narrazione in 1Q84
Nel terzo libro sembra che Murakami abbia fatto di tutto per NON costruire il puzzle. Che sia una scelta voluta o no io non l'ho trovata convincente. Credo però che la mia delusione per il terzo volume sia soprattutto dovuta al fatto che Murakami si concentri soprattutto sull'aspetto psicologico-relazionale dei personaggi e abbandoni un po' l'aspetto soprannaturale e soprattutto i Little People, in grado di suscitare in me una quantità d'ansia che non provavo dai tempi di Bob, di Twin Peaks (ancora Lynch!)

In conclusione, ai libri 1 e 2 dò quattro stelle su cinque. Al terzo libro due stelle su cinque.

lunedì 29 ottobre 2012

Un Polpo alla gola

Un polpo alla gola, Zerocalcare, Bao Publishing
  • Titolo: Un polpo alla gola
  • Autore: Zerocalcare
  • Editore: Bao Publishing
  • Pagine: 192
  • Letto su: Cartaceo 






Ho conosciuto Zerocalcare (nome d'arte di Michele Rech) grazie ad una botta di sfiga: la rivista di fumetti Canemucco. Edita da Coniglio Editore, la rivista era il parto geniale della mente di Makkox, talentuoso fumettista italiano che si era già fatto una discreta fama su internet.


 Inizialmente programmata come testata mensile, distribuita in fumetteria e in edicola (quindi con una tiratura piuttosto cospicua), Canemucco ha visto vedere la luce, dopo svariati ritardi e lo spostamento della distribuzione solo in fumetteria, per 4 dei 6 numeri programmati.
Canemucco, makkox, zerocalcare
Il quarto e ultimo numero di Canemucco


 Il motivo? le scarse vendite, purtroppo. Peccato, perchè era un progetto interessante: oltre alla serie principale di Makkox, la rivista dava spazio anche ad altri giovani fumettisti. Ed uno di quelli era proprio Zerocalcare: protagonisti delle sue storie il suo alter-ego, accompagnato da un simpatico armadillo che fungeva da spalla/voce della coscienza. Un rapporto che ricordava molto due Calvin & Hobbes cresciuti.

Per nostra fortuna, nonostante il fallimento del progetto, Marco Dambrosio, (l'uomo che sta dietro al fumettista Makkox) decise di dare fiducia a Zerocalcare e di produrre per conto proprio il suo primo volume a fumetti: nacque così "La profezia dell'armadillo". Inoltre, Zerocalcare decise di aprire un blog in cui a scadenza regolare venivano pubblicate delle strisce complete, la cui qualità era uguale se non superiore a quella che si poteva apprezzare sul Canemucco.

profezia dell'armadillo, Zerocalcare, Makkox
Il volume prodotto da Makkox
 Nel volume erano presenti storie già pubblicate sul canemucco e sul blog ma unite tra loro da un filo conduttore, segno che Zerocalcare le aveva ideate come un unico blocco di storie. Inizialmente prodotto in poche copie, il fumetto ebbe un successo notevole grazie al tam tam su internet, tanto da costringere Makkox a stamparne altre copie. Ma evidentemente l'autoproduzione non era abbastanza perchè una giovane casa editrice, la Bao Publishing, decise di farne una nuova edizione a colori (La profezia dell'armadillo - colore 8-bit). E decisero di pubblicare anche il successivo lavoro di Zerocalcare, Un Polpo alla gola.

In questo secondo lavoro "completo", Zerocalcare non abbandona lo stile che lo ha reso famoso con le storie dell'armadillo: autoreferenzialità a go-go e citazioni pop pescate a piene mani dall'immaginario comune dei giovani cresciuti negli anni '80-inizio anni '90 (la generazione che è stata recentemente definita in un saggio "La generazione Bim-Bum-Bam"), che oggi si trovano ad affrontare una fase della vita in bilico tra la fine della giovinezza e l'inizio dell'età adulta (Zerocalcare la chiama "l'adolescenza lunga"). Fase che è sempre più lunga, complice una serie di fattori esterni, in primis l'incertezza lavorativa. L'alter ego di Zerocalcare interagisce con diversi personaggi della cultura popolare (Ken-shiro, i cavalieri dello zodiaco, Darth Vader), a metà tra un soliloquio con la propria coscienza a là John Dorian di Scrubs e un dialogo immaginario. In "Un polpo alla gola" però c'è anche molto di più (e un armadillo in meno): la storia è divisa in tre segmenti narrativi, durante le quali osserviamo la crescita di Zerocalcare, dall'infanzia, all'adolescenza alla fase adolescenziale/adulta attuale. Possiamo quindi dire che rispetto all'universo delineato da Zerocalcare nelle sue storie, "Un polpo alla gola" funge da prequel, nel quale ci viene narrato come l'alter-ego fumettistico di Zerocalcare è diventato come lo conosciamo. E non abbiamo solo una storia di formazione personale raccontata con ironia: abbiamo anche una sottotrama drammatica, proprio come nella Profezia dell'armadillo. Zerocalcare non usa le citazioni popolari fini a sè stesse, ma le sfrutta a fini narrativi: a mio parere riesce a descrivere lo zeitgeist della propria generazione (che è poi anche la mia) in maniera perfetta.

Per me, che sono nato del 1986, l'immedesimazione con le vicende raccontate da Zerocalcare è infatti quasi completa: le vicende scolastiche, il rapporto con i compagni di classe e soprattutto con quegli oggetti misteriosi che erano (già allora) le compagne di classe, i feticci (come il supremo Gambeboy). Il lato negativo dello stile di Zerocalcare è giocoforza che per lettori più anziani (e in futuro più giovani) è più difficile riuscire a cogliere tutti i riferimenti presenti nelle tavole di Michele Rech: potrebbero non essere coinvolti come chi le vicende narrate le ha davvero vissute. 

Ciononostante consiglio a tutti di recuperare entrambi i volumi e seguire Zerocalcare su internet: per chi è arrivato prima è un occasione per cercare di capire i propri figli/nipoti, per chi arriverà dopo sarà un occasione per comprendere i propri padri.

Quattro su stelle su cinque, non gli dò il massimo perchè voglio sperare che Zerocalcare abbia in serbo ancora molto.  

venerdì 26 ottobre 2012

Inizia la nuova stagione...delle serie TV americane (Parte 4)

Last but not least (ultimo ma non per questo meno importante...vedete che alcune cose suonano meglio in inglese?) mi sono tenuto per ultima la serie che mi sta attualmente più a cuore.

Scoperta grazie al suggerimento di un amico (e confermata la bontà grazie al sempreverde Serialmente) quest'estate, è stato amore a prima vista.

Sto parlando di...Community!

Community, cast, poster, NBC
Il variegato cast principale di community

Forse il modo migliore per parlare di Community ad un pubblico italiano è spiegare l'ambientazione. Community è ambientato (e da qui il nome) in un Community College.

Che cos'è un Community College? E' un'entità che qui in Italia non esiste, o meglio, è una via di mezzo tra una scuola serale, un'università normale, l'università della terza età e la CEPU. Di solito è un piccolo campus, frequentato per la maggior parte da gente che abita negli immediati dintorni (che negli Stati Uniti può raggiungere dimensioni ragguardevoli ad un occhio italiano). Di solito gli studenti che frequentano i Community College sono in là con gli anni e vogliono tenersi impegnati, oppure non hanno passato l'ammissione ad università più blasonate (i Community College non sono proprio famosi per la loro qualità), o hanno problemi di denaro (i Community College costano molto meno di università private tipo Harvard, e la retta cambia a seconda dei corsi seguiti) o ancora vogliono imparare una nuova professione (i Community College sono incentrati soprattutto su corsi pratici e manuali).

L'incipit della serie vede Jeff (l'uomo con la fronte spaziosa che vedete in primo piano a sinistra), avvocato di discreto successo a cui hanno revocato la licenza, perchè nonostante abbia passato i test per entrare nella scuola di Giurisprudenza aveva falsificato il suo titolo di studio (in America prima di entrare a Giurisprudenza bisogna aver preso l'equivalente di una laurea triennale da noi), tornare a frequentare l'università per prendere una laurea il più presto possibile. Siccome i Community College sono famosi per essere facili decide di frequentare il Greendale Community College, sperando di finire il più presto possibile.

Una volta al college incontrerà Britta (la bionda in primo piano a destra), che tenterà subito di broccolare subdolamente creando un fittizio gruppo di studio del corso di spagnolo. Sfortunatamente per Jeff e fortunatamente per noi il gruppo di studio diventerà il centro nevralgico della serie.

Nella prima stagione i ruoli sembrano fissi e piuttosto stereotipati, anche se con una novità: Jeff è il tipico spaccone affascinante, all'apparenza cinico ma con un cuore d'oro; Britta, bionda liberal e un po' acida; Shirley, donna di colore con un matrimonio fallito alle spalle e timorata di Dio; Pierce, baby-boomer altolocato, coacervo di razzismo/sessismo/politically uncorrect; Troy, ex quarterback-star del liceo che si è ritrovato al Greendale dopo aver perso la borsa di studio per meriti sportivi e Annie, iper-competitiva e ansiogena diciannovenne che ha perso la possibilità di essere ammessa a Università più prestigiose dopo aver sviluppato una dipendenza da farmaci psicostimolanti ed essere finita in riabilitazione.

Chiude il gruppo Abed, la vera novità: Abed è metà musulmano e metà polacco, leggermente autistico e/o con la sindrome di Asperger, grande appassionato di cultura pop e serie TV. Ed è proprio questa passione che rende Abed un meta-personaggio: Abed ci ricorda constantemente che stiamo guardando una serie TV, che certe dimaniche della puntata sono un clichè delle comedy, che l'episodio che stiamo guardando è un Bottle Episode.

Community infatti è una comedy che scardina i clichè delle commedie americane e cerca di reinventarli: i riferimenti alla cultura pop sono numerosi (a volte coinvolgono l'intero episodio, come quello ricalcato sulla serie Law and Order), ma non sono fini a sè stessi. Il risultato è forse un po' cervellotico, ma per chi ha un po' di esperienza di serie TV molto godibile.

E' anche una serie coraggiosa: nella terza stagione un intero episodio è ambientato in un videogioco. Non solo, un videogioco 8-bit! (Per intenderci, quelli di vecchia generazione)

community cast, 8-bit, awesome
Nostalgia 8-bit canaglia!
E Community non è una web-serie, o una serie su un canale via cavo, ma va in onda sulla NBC, uno dei quattro grandi network della televisione americana! In effetti, la natura sperimentale e un po' "per addetti ai lavori" della serie è stata penalizzante in termini di ascolti: Community non è mai stata una serie molto seguita dal grande pubblico americano, forse anche perchè buona parte del target a cui si rivolge la serie la tv neanche la guarda, ma preferisce guardarsi la puntata su internet.

Questo ha portato la serie ad essere sempre sull'orlo della cancellazione. La terza stagione infatti è stata trasmessa in due parti, con una lunga pausa in cui non si capiva se sarebbe stata rinnovata o no. Alla fine la serie è stata rinnovata per una quarta stagione, ma il creatore della serie, Dan Harmon, è stato cacciato.

Il primo episodio della quarta stagione doveva andare in onda il 19 ottobre, ma purtroppo i capoccioni della NBC hanno deciso di rimandare l'inizio della serie a data da destinarsi. Ma questo non ha impedito a quel gruppo di mattacchioni del cast di mettere su Youtube questo video


Dura poco meno di due minuti e dà più o meno l'idea di cosa potete aspettarvi

Il mio consiglio è quello di recuperarlo con tutti i mezzi che potete (in Italia è trasmesso su Comedy Central, ma visto che sono snob e lo seguo in originale con i sottotitoli non ho idea di come sia il doppiaggio).

Vi ricordo le altre presentazioni dedicate alle serie TV (Parte 1, The Big Bang Theory; Parte 2, New Girl; Parte 3, Modern Family

giovedì 25 ottobre 2012

Citate i traduttori!

Oggi sono finito sul blog di Silvia Pareschi, traduttrice di molti autori americani (tra cui DeLillo, Franzen, McCarthy), di cui sicuramente ho letto delle traduzioni (il nome non mi era nuovo).

Mi è caduto l'occhio su questo bannerino

Silvia Pareschi, blog, traduttori, recensioni

E mi sono sentito un po' una merda. Questo sarà anche un blog frequentato da qualche decina di persone, ma nelle mie recensioni non ho mai citato il traduttore. In questi giorni aggiornerò quindi tutti i post per citare i traduttori. E se anche voi avete un blog di recensioni o ne leggete uno e non vedete comparire il nome del traduttore, chiedete che venga messo!

martedì 23 ottobre 2012

Inizia la nuova stagione...delle serie TV americane! (Parte 3)

Dopo la Parte 1, dedicata a The Big Bang Theory, e la Parte 2 , dedicata a New Girl, oggi è il momento di parlare di...

modern family, season 4, phil dunphy, awesome
Non sentite già di amare l'uomo sdraiato in basso?


Ovvero la pluri-premiata comedy del momento! Modern Family nelle sue tre stagioni (la quattro è quella che è partita quest'anno) ha già raccolto tutto quello che c'era da vincere, tanto che wikipedia ha una pagina apposita che elenca tutti gli awards della serie. Citerò quindi solo i più importanti: tre emmy awards (gli oscar della televisione) come miglior serie comedy dell'anno, cinque emmy per il miglior attore non protagonista, un golden globe come migliore serie dell'anno. Insomma, Modern Family è la comedy di maggior successo dai tempi di Friends. Ed è creata da Doc di Ritorno al futuro!

Cristopher Lloyd, Doc, Back to the future, Ritorno al futuro
Da inventore di una macchina del tempo a produttore di successo
 Come suggerisce il nome, Modern Family ruota attorno ad una famiglia americana non propriamente tradizionale. O meglio, parliamo di tre nuclei famigliari strettamente imparentati: i Pritchett, i Tucker/Pritchett e i Dunphy. 

Modern family, tree, genealogy
La famiglia moderna in tutto il suo splendore
 
Jay Pritchett, burbero e pragmatico, è il capostipite della famiglia ed è reduce dalla fine del matrimonio con la fricchettona Dede, con la quale ha avuto due figli, Claire e Mitchell. Si è risposato con Gloria Delgado, avvenente quanto simpaticissima colombiana che ha avuto Manny da un precedente matrimonio. Manny è un quarantenne intrappolato nel corpo di un bambino tredici anni.

Claire, casalinga severa e con una tendenza a mania di controllo è sposata con Phil Dunphy, il tipico padre che vuol fare l'amicone e si sforza troppo, e costituiscono la tipica famiglia media americana con 2.5 figli arrotondati per eccesso: Haley, tanto carina quanto stupida, Alex, intelligente ma un po' petulante e Luke, ragazzino pestifero ma con tanto cuore. Mitchell, nevrotico, ansioso e un po' snob compone il terzo e ultimo nucleo famigliare, quello meno convenzionale, con il compagno Cameron Tucker, il cui unico aggettivo che mi viene in mente per descriverlo a pieno è il termine inglese "Flamboyant". Hanno adottato una bambina vietnamita Lily. E' proprio il momento dell'adozione che dà il via alla serie.

Modern Family è una serie TV girata con lo stile mockumentary, ovvero pur essendo girata con attori professionisti, lo stile di regia e il tipo di inquadratura simulano un documentario. Di frequente infatti gli attori guardano in camera, oppure vengono ripresi mentre rispondono su un divano alle domande ad un ipotetico intervistatore. Questa tendenza, molto forte nella prima stagione, va un po' attenuandosi nelle stagioni successive. Personalmente a me piace molto, ma all'inizio può risultare un po' straniante.

La serie è indirizzata ad un pubblico molto ampio: ma basta confrontarla con una qualunque fiction-commedia italiana (pensate ai Cesaroni) per capire l'abisso di qualità tra le due serie, nonostante il target di riferimento sia lo stesso. Anche Modern Family non rinuncia alla morale alla fine dell'episodio, al tema ricorrente dell'importanza della famiglia (anche se nella variante liberal di tutte le famiglie possibili). I conflitti vengono sempre risolti entro la fine dell'episodio, all'insegna del volemose bbene. Però le gag sono spassose, i personaggi molto riusciti e va dato atto agli scrittori la capacità di gestire molto bene dieci personaggi in maniera corale e organica.

La forza di Modern Family sta nel riuscire a coniugare molto bene la tradizionale comedy sulla famiglia americana con l'innovazione del mockumentary e l'intreccio tra famiglie non propriamente convenzionali. Il resto lo fanno i personaggi azzeccati, anche grazie ad un'ottima scelta di casting.

Per gli amici di Technorati: Z9R8UEHSUWME
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