- Titolo: Stanley Kubrick
- Autore: H.P. Reichmann (curatore)
- Traduttore: NTL Traduzioni, Firenze
- Casa Editrice: Giunti GAMM
- Pagine 384
- Letto su: Cartaceo
E' grazie a Stanley Kubrick (e indirettamente a mio padre), se quando vado al cinema al 95% so chi ha diretto il film che mi appresto a vedere e quali sono stati i suoi altri lavori. E' grazie a lui se vado a vedere un film a scatola chiusa perchè è di uno dei miei registi preferiti.
Prima di Kubrick, vedevo i film come qualcosa di calato dall'alto, non sapevo ci fosse dietro il lungo lavoro di un gruppo (numeroso) di persone.
Solo dopo aver visto un film di Kubrick mi è venuta voglia di sapere quali ruoli e mestieri ci fossero dietro la realizzazione di un film. E Stanley Kubrick sapeva fare molti mestieri: regista, montatore, fotografo, sceneggiatore, curava ogni aspetto della lavorazione dei suoi film, in maniera quasi maniacale, spesso portando innovazioni a livello tecnico: gli effetti speciali di 2001 (per la quale Kubrick ha vinto il suo unico Oscar), gli obiettivi Zeiss usati dalla NASA per filmare le scene di Barry Lyndon con luce proveniente unicamente dalle candele, la Steadycam di Shining. Sono famosi gli aneddoti sull'ossessione ai dettagli di Kubrick, che portava tutti al limite estremo, soprattutto gli attori, dato che ripeteva le scene una moltitudine di volte.
Nella sua quasi cinquantenniale carriera Kubrick ha girato relativamente pochi film (13), ma una cosa che mi è sempre piaciuta di lui è che ha spaziato in quasi tutti i generi cinematografici: storico (Spartacus e Barry Lyndon) fantascienza (2001: odissea nello spazio e per certi versi Arancia Meccanica) satira (Dr. Stranamore) horror (Shining) dramma psicologico (Eyes Wide Shut) e una certa predilezione per i film di guerra (Paura e desiderio, Orizzonti di gloria, Full Metal Jacket).
Questo volumone della Giunti (il formato è più grande del solito, una specie di quadratone, stampato su carta patinata pesantissima) è il catalogo di una Mostra su Kubrick ospitata a Roma, nel Palazzo delle Esposizioni dal 6 ottobre 2007 al 6 gennaio 2008 organizzata in origine dal Deutsche Filmmuseum. La mostra conteneva una selezione del vasto archivio di materiale che Kubrick ha lasciato dopo la sua morte, avvenuta per attacco cardiaco nel 1999 (ricordo ancora quando l'ho saputo: stavo tornando con i miei genitori in macchina da Brescia dove eravamo andati a trovare dei parenti, quando lo hanno annunciato alla radio).
Purtroppo non ho mai visto questa mostra, il volume l'ho acquistato in occasione di un'altra mostra, questa volta a Milano, dal 16 aprile al 4 luglio 2010, dedicata all'opera fotografica di Kubrick. Negli anni '40 infatti, un giovanissimo Stanley Kubrick iniziò la propria carriera come fotografo professionista per la rivista "Look".
Il catalogo è in realtà una raccolta di 24 saggi ad opera di studiosi tedeschi, dedicati all'analisi dell'opera di Kubrick. Corredano i saggi un ricco impianto iconografico e appendici dedicate alla sua biografia, filmografia completa e discografia delle colonne sonore dei suoi film. Una cosa positiva è che gli autori dei vari saggi appartengono ad aree di studio molto diverse (si va dai critici cinematografici ad esperti di storia dell'arte, musica, costumi, architettura): l'approccio multi-disciplinare dei saggi fa emergere Stanley Kubrick come artista a tutto tondo, nei cui film nulla era lasciato al caso. Nella maggior parte dei saggi ho anche apprezzato che si focalizzassero su pochi film invece di analizzare velocemente tutta la filmografia del regista americano alla ricerca di connessioni stiracchiate; spesso Kubrick amava cambiare completamente il suo stile, creare qualcosa di completamente diverso, tant'è che molti suoi film furono accompagnati da polemiche alla loro uscita, fino a veri e propri casi di censura (Orizzonti di gloria, Arancia Meccanica).
Il lato negativo di saggi così diversi tra loro è che per forza di cose, per affinità personale ai temi trattati, alcuni li ho trovati molto interessanti, come quello sull'interesse di Kubrick per la fantascienza e la volontà di creare 2001: odissea nello spazio per dimostrare che i film di fantascienza potessero essere presi sul serio, altri (soprattutto quelli sull'aspetto architettonico dei film di Kubrick) li ho trovati un po' noiosi (sempre per i miei gusti). Ho anche apprezzato che, contrariamente a quello che avviene di solito, più di un saggio non ha il solito tono incensante nei confronti del grande regista da poco scomparso (la mostra originale tedesca risale al 2002), ma anzi si evidenziano alcuni difetti e punti deboli dell'opera di Kubrick, come la scelta di musiche tipiche dell'Ottocento usate in Barry Lyndon (che è ambientato nel Settecento), o il ritardo dell'uscita di Full Metal Jacket, uscito nell'89 dopo una lunga lavorazione e preceduto da un'onda di film riusciti dedicati al Vietnam (Il Cacciatore, Platoon).
La più grossa critica che mi sento di fare al volume è che alcuni autori, soprattutto gli accademici, indulgono spesso e volentieri nell'uso di un linguaggio ampolloso e volutamente ermetico (non a caso è stato coniato un termine apposito, l'"accademichese"). Un esempio da manuale è il saggio "Il visionario dell'evoluzione" di Thomas Elsaesser, che inizia meravigliosamente analizzando la carriera di Kubrick dal punto di vista della storia dell'industria cinematografica di Hollywood, mostrando come l'invidiabile contratto di Kubrick con la Warner Bros. (totale autonomia artistica) fosse in realtà figlio della crisi degli Studios negli anni '60 e poi si spegne in una serie di citazioni accademiche e ragionamenti volutamente oscuri.
Forse il limite principale di questo libro è che è a meta strada tra un'introduzione alla vita e alle opere di Kubrick e un approfondimento dei temi della sua cinematografia. Se volete sapere qualcosa di più su Kubrick io consiglio il documentario del 2001 "A life in pictures" (che ho scoperto in questo libro essere del cognato di Kubrick, Jan Harlan), mentre se comprate questo volume per approfondire forse vi ritrovereste un po' delusi.
Il mio (sindacabilissimo) giudizio è due stelle su cinque.
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